Non vorrei dar l’impressione di prender l’argomento sottogamba. E però sul tema dell’eutanasia o, se preferite, del prolungamento della vita con mezzi artificiali e perfino del coma tout court, vorrei spendere una parola, anche se a qualcuno potrebbe suonare irrispettosa. Il fatto che è in un quotidiano nazionale ho letto un articolo allarmante. Trattava di Lamberto Sposini, giornalista e conduttore della Rai, colpito da ictus e a tutt’oggi sprofondato nel coma. Di Sposini scriveva un medico, Melania Rizzoli, deputato del Pdl. Punto dell’articolo, le opinioni di Sposini in tema, appunto, di regioni estreme della vita. Raccontava la Rizzoli: «Lamberto mi disse che mai avrebbe voluto sopravvivere senza coscienza».
Non so in quali circostanze Sposini avesse espresso questa opinione, ma leggerla mi ha fatto pensare alle circostanze io cui io ho espresso opinioni sul medesimo argomento. E non vorrei che, un malaugurato giorno, diventassero oggetto di sussiegosi articoli e, men che meno, spunto per promuovere azioni di rimozione della spina o comunque di interruzione dell’energia elettrica. Non lo nego, posso anche aver manifestato, in momenti diversi, insofferenza per le durezze dell’esistenza, posso aver esclamato «che vitaccia!» e perfino, nella rappresentazione formale che ognuno offre di sé, esternato disdegno per il quotidiano ménage dei vegetali: nessuno per questo si senta autorizzato ad accopparmi. Dovesse accadere il peggio, gradirei si pensasse che, sì, avevo un’opinione precisa in merito ma che, come spesso capitava alle mie opinioni, era del tutto inattendibile.
Non so in quali circostanze Sposini avesse espresso questa opinione, ma leggerla mi ha fatto pensare alle circostanze io cui io ho espresso opinioni sul medesimo argomento. E non vorrei che, un malaugurato giorno, diventassero oggetto di sussiegosi articoli e, men che meno, spunto per promuovere azioni di rimozione della spina o comunque di interruzione dell’energia elettrica. Non lo nego, posso anche aver manifestato, in momenti diversi, insofferenza per le durezze dell’esistenza, posso aver esclamato «che vitaccia!» e perfino, nella rappresentazione formale che ognuno offre di sé, esternato disdegno per il quotidiano ménage dei vegetali: nessuno per questo si senta autorizzato ad accopparmi. Dovesse accadere il peggio, gradirei si pensasse che, sì, avevo un’opinione precisa in merito ma che, come spesso capitava alle mie opinioni, era del tutto inattendibile.
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