Incapaci di tutto

Incapaci di tutto

Non è facile trattenersi dall’inarcare un sopracciglio o due alla notizia che, ad avviso della Corte di Cassazione, «merita una condanna per ingiuria il condomino che insulta il vicino il quale suona alla sua porta per chiedergli il rispetto della quiete e del silenzio». Nella nostra ingenuità ci chiediamo: quanto tempo ci avrà messo la Suprema Corte ad arrivare a tale decisione? Trenta secondi? Quindici?

Purtroppo non è così semplice. La Corte ha dovuto deliberare, e riflettere attentamente sulla sua deliberazione, perché, a quanto pare, non è più detto che insultare qualcuno configuri il reato di ingiuria. Questo, a causa del «degrado del linguaggio e della inciviltà che oramai non di rado contraddistingue il rapporto tra i cittadini». Un «vaffa», insomma, non si nega a nessuno e se ci mettiamo a far causa ogni volta che qualcuno manda qualcun altro a quel paese, qui facciamo notte.

Il fatto è che, a ragionar così, abbiamo fatto notte da un pezzo. È vero che i tempi cambiano e con i tempi cambiano le percezioni: la nudità un tempo provocava scandali e accendeva roghi, oggi è solo servizio in coda al telegiornale delle otto. Ma l’insulto non è un ingrediente del costume: è un aggressione verbale al prossimo e non può venir affrancata dai tempi più di quanto una coltellata possa venir emendata dalla consuetudine. Che debba ricordarcelo un consesso di giudici invece della nostra intelligenza è l’ultima e più grave delle sconfitte: ormai siamo incapaci di tutto.

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