Incredibile a chi?

Non vi sembra che, così a vista, ci siano in giro un po’ troppe cose «incredibili»? È questo, in effetti, un aggettivo piuttosto popolare e quando un aggettivo diventa popolare la sua aderenza al significato letterale si fa un po’ lasca, vale a dire disinvolta.

Una ricerca al computer risalente a un paio di giorni fa ha riportato il seguente risultato: in una settimana l’agenzia Ansa ha usato la parola «incredibile» 114 volte. È vero che il notiziario dell’agenzia di cui sopra è molto vasto ma, tenuto conto che il linguaggio dei suoi redattori è sempre molto controllato e a prova di enfasi, il fatto che l’aggettivo si sia insinuato più di cento volte mi sembra significativo.

Treccani dice che «incredibile» si usa «per lo più riferito, spesso con valore iperbolico, a cosa che, per essere straordinaria, eccessiva, singolare, quasi non può essere creduta». La parola d’ordine è dunque «quasi»: per appiccicare «incredibile» a un qualunque accadimento non serve che sia a tutti gli effetti “non credibile”, basta che sfiori l’assurdità, o l’inverosimiglianza.

A noi, sempre in cerca di enfasi per attizzare la monotonia e la limitatezza delle nostre capacità espressive, non par vero di poterne approfittare. «Incredibile» diventa dunque anche ciò che, al contrario, è perfettamente credibile. Pippo Inzaghi, l’altra sera, ha trovato «incredibile» che il suo Milan avesse perso: oggettivamente, avrebbe dovuto stupirsi di una vittoria. «Incredibile» è stato poi «lavorare in Italia» per un interprete straniero del film di Cristina Comencini “Latin lover” e «incredibile» è, per Elio Vito di Forza Italia, che «si voglia rendere identificabili le forze dell’ordine durante le manifestazioni».

C’è nell’intonazione che si applica all’aggettivo uno spettro di colori che va dall’insulto all’adulazione, dall’estasi alla pena. In tutto ciò si perde il bene del significato e il valore della lingua. Ed è questa l’unica cosa effettivamente incredibile.

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