In un bell’articolo sul Corriere della Sera, Giulio Giorello ha annunciato che «siamo diventati molto più intelligenti rispetto ai nostri antenati». Per scendere nel dettaglio, nel giro di un secolo il quoziente intellettivo (Qi) medio sarebbe raddoppiato.
Una scoperta entusiasmante e non vale, a contraddirla, il corpus delle opere di Fabrizio Frizzi: la presenza di alcuni abissi non esclude, altrove, l’innalzarsi di innumerevoli e smisurate vette del pensiero.
Scrive Giorello: «Ammesso che i test del Qi "misurino" davvero quella dote elusiva che chiamiamo abitualmente "intelligenza". Qualunque possano essere le nostre riserve sull’impiego di tali test, resta il fatto che sono cambiati insieme il nostro ambiente fisico e quello intellettuale. Capaci di spostamenti veloci, garantiti da un buon tenore di vita, protetti da un efficiente sistema sanitario eccetera, siamo anche più abituati alla flessibilità del linguaggio, alla potenza dell’immagine, all’esercizio della logica...»
Il ragionamento, non c’è dubbio, sta in piedi e Giorello lo svolge valendosi, oltretutto, di un Qi doppio rispetto a quello dei suoi bisnonni ma, viene da chiedersi, non è che per caso l’intelligenza, confrontata con la Storia, andrebbe considerata in modo più relativo?
Dubito che, alle prese con carestie, pestilenze, guerre e soprusi vari, i nostri avi rimpiangessero di non avere più «flessibilità di linguaggio» o di essere in grado di sfruttare, con maggiore disinvoltura, «l’esercizio della logica». Il test definitivo, per noi, sarebbe la sfida a sopravvivere, per un anno o giù di lì, nelle condizioni dei nostri antenati di qualche secolo fa: stessi abiti, stessa dieta, stessi grattacapi. Loro, i cari vecchietti, la sfida la superarono senz’altro, tanto è vero che noi siamo qui. E non ci vuole un supremo esercizio di logica per capirlo.
Una scoperta entusiasmante e non vale, a contraddirla, il corpus delle opere di Fabrizio Frizzi: la presenza di alcuni abissi non esclude, altrove, l’innalzarsi di innumerevoli e smisurate vette del pensiero.
Scrive Giorello: «Ammesso che i test del Qi "misurino" davvero quella dote elusiva che chiamiamo abitualmente "intelligenza". Qualunque possano essere le nostre riserve sull’impiego di tali test, resta il fatto che sono cambiati insieme il nostro ambiente fisico e quello intellettuale. Capaci di spostamenti veloci, garantiti da un buon tenore di vita, protetti da un efficiente sistema sanitario eccetera, siamo anche più abituati alla flessibilità del linguaggio, alla potenza dell’immagine, all’esercizio della logica...»
Il ragionamento, non c’è dubbio, sta in piedi e Giorello lo svolge valendosi, oltretutto, di un Qi doppio rispetto a quello dei suoi bisnonni ma, viene da chiedersi, non è che per caso l’intelligenza, confrontata con la Storia, andrebbe considerata in modo più relativo?
Dubito che, alle prese con carestie, pestilenze, guerre e soprusi vari, i nostri avi rimpiangessero di non avere più «flessibilità di linguaggio» o di essere in grado di sfruttare, con maggiore disinvoltura, «l’esercizio della logica». Il test definitivo, per noi, sarebbe la sfida a sopravvivere, per un anno o giù di lì, nelle condizioni dei nostri antenati di qualche secolo fa: stessi abiti, stessa dieta, stessi grattacapi. Loro, i cari vecchietti, la sfida la superarono senz’altro, tanto è vero che noi siamo qui. E non ci vuole un supremo esercizio di logica per capirlo.
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