Fate finta che questa sia una rivista patinata e che voi, ancora in spiaggia nonostante sia settembre, vi concediate uno di quei test tesi a stabilire chi siete veramente (fino al prossimo numero). Il test consiste innanzitutto nella lettura di due frasi:
1) Siamo tutti uguali. Desideriamo le stesse cose: un riparo, cibo, compagnia e comodità. Tutti, inoltre, procediamo verso lo stesso, inevitabile destino.
2) Io sono unico. I dettagli che compongono la mia vita non sono quelli di chiunque altro, appartengono solo a me.
Ora scegliete: quale delle due frasi considerate più vera, più vicina all’effettivo stato delle cose? Fatto? Bene, ora i risultati.
Le due frasi, naturalmente, sono entrambe “vere”: in esse è racchiuso il paradosso della vita, una contraddizione che siamo chiamati ad accettare perché, nonostante i nostri sforzi e la nostra ostinazione, essa è destinata a rimanere. Noi siamo, e sempre saremo, simili e diversi, uguali e unici.
Un articolo pubblicato su “Social Psychology” sostiene però che la scelta di cui sopra dice qualcosa circa la nostra unicità. Chi si riconosce più nella frase 2, e respinge (o ignora) la sostanziale uniformità degli esseri umani, è più incline a credere a cospirazioni e teorie anche (soprattutto) sgangherate. Questo perché proclamare tali teorie significa affermare la propria differenza rispetto alla “massa”: non lo si fa per informare il prossimo, ma per fargli credere di essere “più avanti”.
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