Italiano nel testo

Tra i molti piaceri che offre la lettura - alcuni sottili, altri irruenti, altri ancora spirituali e non pochi sensoriali - ce n’è uno che quasi mi vergogno a confessare perché penso sia davvero troppo personale. Non intimo, questo no. Ma un po’ bizzarro, dovuto a chissà quale mia peculiare inclinazione, e pertanto difficile da spiegare.

Ma tant’è: sono in ballo e adesso devo andare fino in fondo. Il piacere di cui vado rimandando la definizione sarebbe quel piccolo scarto della coscienza che accade quando, leggendo in traduzione il testo di un autore straniero, si incontrano frasi in italiano. Parole italiane “originali” tra parole italiane “tradotte”. Sono quegli inserti “estranei” che gli scrittori di altri Paesi a volte incastrano nella narrazione, condotta ovviamente nella loro lingua. Nell’originale, si staccano come parole straniere nella lingua domestica; nella traduzione italiana diventano parole familiari tra parole familiari.

Ma è proprio così? Io ho sempre trovato, in queste evenienze letterarie, un piccolo ma interessante sobbalzo di percezione. La voce “ufficiale” dell’autore - il suo italiano “fluente”, se ben tradotto - devia in una voce più forzata, incerta: quella di chiunque si sforzi di esprimersi in una lingua straniera. Eppure l’idioma - in questo caso l’italiano - è lo stesso. Ma, per paradosso, l’italiano tradotto è quello fluente, mentre l’italiano originale finisce su un piano sconnesso, qualche volta sgangherato.

C’è chi ha saputo giocare con grande ironia sul doppio binario linguistico. Nell’”Ulisse”, Joyce fa credere a Bloom che le parole di due italiani incontrati la notte per strada siano gentili e poetiche: così devono essere, perché l’italiano è la lingua del canto. I due, in realtà, stanno litigando e Bloom scambia per poesia alcune minacce e perfino una bestemmia. Questa scena da sempre mi condiziona nella lettura: quando incontro quelle frasi che, nelle note, vengono segnalate come “italiano nel testo”, la mia attenzione per la lingua si acuisce e si fa più critica. Forse dovremmo sempre leggere (e scrivere) con questa applicazione: come se la nostra lingua fosse maneggiata da uno straniero.

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