La bella copia

La bella copia

Da qualche tempo il mondo sembra aver scoperto gli introversi. Essendo un rappresentante della categoria dovrei sentirmi lusingato, anche se il fatto di essere "scoperto", naturalmente, va contro la mia natura: l'ideale, per un introverso, sarebbe di essere scoperto senza che gli fosse imposto di scoprirsi.

In ogni caso, questa scoperta (o riscoperta?) degli introversi viene a galla per un preciso motivo: essi spiccano in un mondo dominato se non proprio dagli estroversi, dall'estroversione. La parola ha oggi molti più strumenti per diffondersi rispetto a un passato anche recente. Strumenti più veloci, agili, globali. La chiacchiera, un tempo, aveva una gittata limitata, da quartiere; oggi, affidata a Twitter, non ha confini. In questo mondo intessuto di ciarle, scrittrici come Susan Cain fanno notare il sottovalutato potere di chi misura le parole, il potenziale inesplorato dei timidi e le doti di leadership di chi, invece di darsi alle chiacchiere, riflette sulle azioni proprie e altrui.

Personalmente, ho sempre creduto che la differenza tra introversi ed estroversi sia una sola: i secondi parlano in "brutta copia", ovvero spandono parole in eccesso riservandosi, nel caso, il diritto di rinnegarle come abbozzi; i primi pretendono invece di parlare in "bella", di lasciare parole che restano, come se, aprendo la bocca con rara solennità, stessero dettando un libro. Questo li fa più precisi, ma molto restii a tornare sulle loro opinioni. E non è un difetto da poco.

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