Anni di arrabbiature e riflessioni, di sdegno e sopportazione. Soprattutto, anni di tenebre: le profonde tenebre dell'incomprensione. Per tanto tempo mi sono chiesto, attraversando, come in una tempesta, una serie mutevole di emozioni ribollenti, perché mai il servizio ferroviario regionale fosse così scalcinato, perché mettesse tanto a dura prova i passeggeri. Una domanda che mai ha avuto la soddisfazione di una risposta e che nel tempo è mutata in rabbia e frustrazione. Poi, nel momento meno atteso, l'illuminazione: ora so, ora ho capito.
Il mio errore stava nel concentrarmi sui passeggeri: se si parte dal presupposto che il servizio ferroviario sia concepito nel loro interesse e a loro beneficio, non si capirà mai nulla. I passeggeri sono soltanto delle appendici, degli ammennicoli, niente di più. Come tali, non ha importanza che soffrano per i ritardi e per i disservizi. Il servizio ferroviario regionale è costruito al servizio di una missione ben diversa: quella di trasportare borse. Fateci caso la prossima volta che salite su un treno: attorno a ogni passeggero sono disseminate, sui sedili, borse di ogni forma e dimensione. Esse sì che viaggiano comode; in più, essendo borse, hanno poco interesse che il treno sia in orario, oppure che proceda verso una destinazione piuttosto che un'altra. L'importante, per loro, è occupare almeno un sedile.
Ovvio, a ogni borsa corrisponde un passeggero ma questi non ha altro ruolo che quello della sfinge: al tizio rimasto in piedi che, avvicinandosi, vorrebbe suggerire la rimozione della borsa, non farà alter che opporre uno sguardo ottuso, bovino, come se fosse ovvio che la borsa non si può toccare. E così è perché, come abbiamo appena scoperto, la borsa ha il ruolo preminente, centrale, nell'intera organizzazione ferroviaria. Non deve più sorprenderci, dunque, la sensazione di “o la borsa o la vita” che proviamo quando paghiamo il biglietto: non è una minaccia, ma un motto.
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