Perdonate se torno sul caso Pistorius (temo ne avrete sentito parlare, anche a sproposito, fin troppo) ma le notizie sull’indagine per omicidio mi hanno riempito di stupore e lo stupore è uno di quei sentimenti che si fatica a non condividere.
Vediamo di riepilogare: il sudafricano Oscar Pistorius, atleta disabile arrivato alle Olimpiadi, uccide a colpi di pistola, nel corso di una notte tempestosa, la fidanzata Reeva Steenkamp, bionda modella di grande bellezza. Pistorius dice che si è trattato di un incidente: pensava di aver udito un ladro, invece era la ragazza. Il magistrato incaricato delle indagini non gli crede e, anzi, lo vuole incriminato per omicidio volontario.
Nel frattempo, la polizia fa il suo mestiere: perquisisce l’abitazione di Pistorius in cerca di elementi che aiutino a ricostruire quanto accaduto. Il mio stupore incomincia proprio qui: nel contenuto della casa. La polizia annuncia i risultati della perquisizione un poco per volta. Dapprima dichiara di aver trovato confezioni di steroidi, illegali per uso sportivo. Poi salta fuori una mazza da baseball insanguinata. A qualche giorno dal fattaccio, ecco anche il ritrovamento di «una pistola calibro .38 senza licenza». Accanto alla pistola, le munizioni: pure non autorizzate. Altra sbirciatina nei cassetti e, per soprammercato, saltano fuori «due confezioni di testosterone e alcune siringhe».
Sarò un ingenuo, ma la mia impressione è che, poco a poco, dalla casa di Pistorius sta venendo fuori, se non tutto il peggio, quanto meno una robusta sintesi di ogni cosa discutibile ormai ben presente nella società occidentale (fatte salve, forse, alcune raccolte di Giusy Ferreri). Il bello - il brutto, anzi - è che questo Pistorius era, in virtù delle sue protesi di titanio e della sua volontà di ferro, un eroe di portata mondiale. Eppure, in casa nascondeva pistole e nel cuore un impulso omicida. Sovviene un certo turbamento all’idea di dover procedere, un giorno, a una perquisizione di noi stessi.
Vediamo di riepilogare: il sudafricano Oscar Pistorius, atleta disabile arrivato alle Olimpiadi, uccide a colpi di pistola, nel corso di una notte tempestosa, la fidanzata Reeva Steenkamp, bionda modella di grande bellezza. Pistorius dice che si è trattato di un incidente: pensava di aver udito un ladro, invece era la ragazza. Il magistrato incaricato delle indagini non gli crede e, anzi, lo vuole incriminato per omicidio volontario.
Nel frattempo, la polizia fa il suo mestiere: perquisisce l’abitazione di Pistorius in cerca di elementi che aiutino a ricostruire quanto accaduto. Il mio stupore incomincia proprio qui: nel contenuto della casa. La polizia annuncia i risultati della perquisizione un poco per volta. Dapprima dichiara di aver trovato confezioni di steroidi, illegali per uso sportivo. Poi salta fuori una mazza da baseball insanguinata. A qualche giorno dal fattaccio, ecco anche il ritrovamento di «una pistola calibro .38 senza licenza». Accanto alla pistola, le munizioni: pure non autorizzate. Altra sbirciatina nei cassetti e, per soprammercato, saltano fuori «due confezioni di testosterone e alcune siringhe».
Sarò un ingenuo, ma la mia impressione è che, poco a poco, dalla casa di Pistorius sta venendo fuori, se non tutto il peggio, quanto meno una robusta sintesi di ogni cosa discutibile ormai ben presente nella società occidentale (fatte salve, forse, alcune raccolte di Giusy Ferreri). Il bello - il brutto, anzi - è che questo Pistorius era, in virtù delle sue protesi di titanio e della sua volontà di ferro, un eroe di portata mondiale. Eppure, in casa nascondeva pistole e nel cuore un impulso omicida. Sovviene un certo turbamento all’idea di dover procedere, un giorno, a una perquisizione di noi stessi.
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