La catastrofe gentile

Leggo le notizie da Pompei con scontata preoccupazione e straordinario stupore. Se ci pensate, il crollo della «Domus dei Gladiatori», avvenuto per colpa dell’incuria umana, ribalta un concetto sedimentato nei secoli: la natura procura le catastrofi, l’uomo cerca di rimediare. Nel caso di Pompei ed Ercolano, alla lunga si dimostra il contrario: la natura conserva e l’uomo distrugge.
Certo, all’epoca, ritrovarsi sepolti da una coltre di cenere nonché asfissiati da gas venefici non fece propriamente piacere agli abitanti delle ridenti cittadine campane. Fu, di fatto, una bella disgrazia: le antiche cronache assicurano che, in seconda serata, Bruno Vespa vi dedicò almeno due puntate del suo "Porta ad porta". Tuttavia, la coltre vulcanica, una volta fredda e ben depositata, seppe garantire ai due centri urbani secoli di sostanziale integrità. Non un crollo, non uno smottamento, nessun vandalismo e, cosa che più conta, neppure l’ombra di un sottosegretario a passeggio per le strade. Una conservazione, va detto, un tantino statica, profondamente silenziosa e del tutto riservata, addirittura preclusa agli occhi del mondo. Eppure, da terribile che fu, la catastrofe diventò gentile e alla distruzione sostituì una sorta di gelosa salvaguardia. Un bel giorno, un archeologo riportò la luce tra le case; dietro di lui, arrivò un sovrintendente; quindi un ministro, poi un altro e un altro ancora. E così, con il sole, tornarono le tenebre.

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