La convenzione del pianto

La convenzione del pianto

Buone notizie: non siamo nati per soffrire. Non lo dico io, lo dice la scienza. La capacità dell’uomo di ridere, sostiene uno studio, sarebbe innata. Il pianto generato da una sensazione di tristezza è al contrario un meccanismo che si impara cammin facendo. «Non tragga in inganno il pianto dei neonati - ammoniscono i ricercatori -, esso non è affatto indotto da paura o disperazione. È una reazione dovuta allo choc e un modo per incamerare più ossigeno».
Ridere per una barzelletta o quando ci viene il fatto il solletico è dunque una reazione istintiva, pre-iscritta nei nostri geni. «Ogni altra vocalizzazione emotiva - si legge nello studio - è frutto di successive esperienze». Colpiti da un dolore, scoppiamo a piangere perché lo abbiamo imparato seguendo l’esempio altrui; addirittura, si potrebbe dire che piangiamo perché è una consuetudine socialmente accettata. Dipendesse da noi, potremmo reagire al dolore in modi diversi: chi grattandosi il naso, chi scuotendo una gamba, chi saltellando in diagonale e chi (qualcuno ci ha provato) esprimendo l’insopprimibile necessità di farsi servire la colazione a letto.
Pensandoci bene, forse potremmo sopprimere la convenzione del pianto e darci a sfogare il lutto ognuno con la sua tecnica personale. Pensate che spettacolo i funerali: uno che saltella a dirotto, l’altro che si gratta disperato, un terzo che, inconsolabile, fa le boccacce e l’ultimo, prostrato, che recita «tre civette sul comò». Scoppieremmo a ridere: dopo tutto, ci viene naturale.

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