La crisi, di petto

C'è crisi e crisi. C'è la crisi del lavoro, c'è la crisi finanziaria e c'è perfino la crisi dei valori. Diverse persone vivono diverse crisi. Oggi sappiamo che anche diversi Paesi vivono diverse crisi.
Il Venezuela, per esempio, vive la crisi delle tette. Una spaventosa scarsità di protesi per impianti al seno sta mettendo un ginocchio il Paese. Penserete sia uno scherzo di cattivo gusto, ma non è così. Il Paese sudamericano importava grandi quantità di seni al silicone dagli Stati Uniti, ma recenti restrizioni sullo scambio di moneta hanno reso questa pratica quasi impossibile: in questo senso, il Venezuela sconta a livello internazionale la sua impostazione socialista.
Le difficoltà a importare protesi stanno scatenando una crisi sociale. In Venezuela "rifarsi il seno" è una pratica diffusissima: il tipico regalo che un'adolescente si aspetta dai genitori al compimento dei 15 anni è un appuntamento dal chirurgo estetico. Il Paese è pieno di bocce siliconate: girare con i seni naturali, per una donna, è come per una lampada funzionare ancora a olio. Nel 2013 in Venezuela sono stati praticati 85.000 interventi estetici al seno: di più ce ne sono stati solo negli Stati Uniti e in Brasile, Messico e Germania: tutti Paesi molto più popolosi di quello sudamericano.
La "siccità" di silicone sta portando a conseguenze drammatiche e ridicole insieme: protesi fai-da-te o ricavate da fondi di magazzino inutilizzati perché di misure grottesche. In aumento le importazioni dalla Cina, nonostante le protesi orientali non siano altrettanto sicure. Poco importa: pur di "svilupparsi" le ragazze venezuelane impianterebbero in se stesse un castoro vivo.
Non so se in tutto questo ci sia una morale. L'ossessione venezuelana per le tette rifatte sembra a prima vista assurda: se tutte le coetanee (e no) hanno i seni artificiali come può una ragazza sperare di farsi notare? Ma forse, anche in questo il fine ultimo è il conformismo. Una gonfia, tutte gonfie. Uno pazzo, tutti pazzi.

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