Viviamo in tempi frettolosi, ancor prima che frenetici. Non riusciamo più a seguire una serie televisiva se gli episodi vengono centellinati uno alla settimana: bisogna che siano disponibili tutti e subito, in modo da poterci immergere in “maratone” sul divano che, oltre a essere contraddizioni in termini, annichiliscono quel poco che resta della nostra pazienza, del nostro saper attendere perfino godendo dell’attesa.
Saltare alle conclusioni è un tratto ormai generalizzato: ci affidiamo a opinioni preconfezionate e, soprattutto, chiuse, impenetrabili agli aggiornamenti che, non di rado, una stretta aderenza alla realtà pretenderebbe venissero tenuti in debita considerazione. Così accade in famiglia, sul lavoro e, naturalmente, anche in politica. Perfino chi studia i fenomeni sociali in relazione al tempo è prigioniero della fretta: non sa aspettare le conclusioni e dunque cerca di prevederle.
Un esempio: non pochi accademici si stanno già chiedendo come la Storia giudicherà l’attuale presidente degli Stati Uniti Donald “Il Mio Parrucchiere è Impazzito” Trump. Ne parla un articolo sul sito di Bbc News, alla luce di un sondaggio condotto tra duecento analisti americani. Costoro, solitamente generosi con i presidenti repubblicani, non hanno invece avuto esitazioni a piazzare Trump all’ultimo posto nella classifica di “grandezza” degli inquilini della Casa Bianca: al 44° posto su 44 (Trump è il presidente numero 45 ma uno, Grover Cleveland, ha servito per due mandati non consecutivi).
I duecento riscontrano in Trump tutti i difetti dei suoi predecessori, nessuno escluso: la prepotenza di Johnson, la paranoia di Nixon, la pigrizia mentale di Reagan, l’incompetenza di Bush jr., la mendacità di Clinton, l’impazienza di Obama, perfino l’ignoranza storica di Ford e la distrazione di Kennedy.
C’è poco da stupirsi che Trump occupi l’ultimo posto della classifica (al primo posto, sia detto per la cronaca, c’è Lincoln), ma certamente è legittimo chiedersi: è giusto che sia così? Dopo tutto, Trump fa ancora parte della cronaca e non della Storia, le sue “imprese” riempiono giornali, web e qualche instant book: per i tomi ponderosi e i saggi definitivi non c’è forse bisogno di un maggior distacco, o quantomeno che la parabola politica sia finita? È vero che Donald “Il mio Parrucchiere non Smette di Ridere” Trump non sembra precisamente avviato a guadagnarsi un posto tra i giganti della Storia, non secondo i più accorti bookmaker, ma, regolamento alla mano, non gli si dovrebbe riconoscere il diritto a essere giudicato a posteriori e non a priori? Dopo tutto, come avrebbe detto Boskov (lui sì, Colosso tra i Colossi), «partita finisce quando arbitro fischia».
Viene il sospetto che il giudizio a posteriori non sia più possibile perché non esiste più il “dopo” di un “prima”: la partita non finisce mai e sentenze, bilanci e valutazioni dipendono da convenienze e opportunismo. Se gli storici del futuro studieranno la nostra era a partire dai social, affonderanno fino alle caviglie in una sorta di indecifrabile e rissoso presente. Forse concluderanno che ci governavano i gatti, gli unici a ottenere online consenso unanime. E quanto sarebbe meglio se fosse davvero così.
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