La differenza

Due articoli, pubblicati ieri, arrivavano da direzioni diverse alla stessa constatazione. Il primo riferiva di uno studio secondo il quale, oggi, Internet altro non è che «un disco rigido esterno del nostro cervello». In questo articolo si leggeva un pensiero di Stephen Kosslyn, professore ad Harvard: «Quando scrivo con un browser aperto, ho la sensazione che esso sia un'estensione di me stesso». Nel secondo articolo, alcuni scienziati riferivano dei «cambiamenti» imposti da Google al cervello umano. «Abbiamo sviluppato una dipendenza da Google» spiegavano, «tanto che la mente rifiuta di memorizzare ciò che sa di poter reperire in Rete».
Come si vede, la conclusione è la stessa: consideriamo Internet una presenza talmente costante e disponibile da affidargli parte di noi stessi, quasi fosse un braccio o, appunto, un'estensione del cervello. Ne consegue che, come per i nostri arti e i nostri organi, ne diventiamo «dipendenti». Più ancora, ne siamo "assorbiti" perché, aggiungono gli articoli, «Internet rappresenta ormai la nostra memoria collettiva».
Riflettere su queste osservazioni potrebbe portarci lontano. Mi limito a dire che se tutto ciò è vero - e probabilmente lo è - allora, a dispetto dell'onniscienza di Internet, ciò che abbiamo imparato per esperienza, insegnamento, studio e osservazione diventa più importante e prezioso che mai perché, andando oltre la «memoria collettiva», ci rende unici, demarcando la differenza tra noi e gli altri, quella che ancora ci fa individui e non unità sociali o, se preferite, "uomini online".

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