La dura scuola

La studentessa cinese, in televisione, salta, ride e piange allo stesso tempo il che, a ben guardare, è un'abilità che non molti studenti italiani possono vantare anche dopo aver passato molti anni sui banchi di scuola. La ragazzina in questione ha però una ragione speciale per saltare, ridere e piangere: le hanno appena consegnato un certificato "top priority" di eccellenza scolastica. Questo significa che l'anno prossimo, quando accederà al primo grado di scuola superiore, potrà scegliere, a Hong Kong, l'istituto che più le piacerà, privato o pubblico, senza timore di venir respinta per ragioni di affollamento o scarsa attitudine. Per quanto mi riguarda, tutto ciò si riduce a un'osservazione: non avevo mai visto uno studente tanto felice per dei bei voti.
Mi spiegano poi che la studentessa ha ottime, non buone, ragioni per sentirsi felice oltre alla soddisfazione di essere riconosciuta come la migliore della sua classe. Il certificato "top priority" le assicurerà di fatto un'educazione eccellente e un'educazione eccellente la consegnerà di certo alla fascia "alta" della società: tempo dieci e o quindici anni e la studentessa sarà una professionista affermata, una dirigente, una leader nel campo di sua scelta. Mi dicono anche che questo sistema ha evidenti effetti collaterali: una classificazione così precoce delle potenzialità dei giovani condanna di fatto molti ragazzi a prospettive sociali mediocri sulla base di esami sbagliati in quinta elementare, piuttosto che a equazioni irrisolte in seconda media. È giusto, mi chiedono? Non rispondo: sto pensando a quanto sia per me singolare e in qualche modo stupefacente che, da qualche parte nel mondo, la scuola assicuri qualcosa di connesso alla società reale: un lavoro, innanzitutto, e addirittura uno status. Senza dubbio qualche asperità andrebbe smussata e qualche rigidità risolta ma, non c'è dubbio, prima o poi bisognerà imparare che una buona scuola è anche una dura scuola.

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