Non mi considero un analfabeta speciale: anch'io, spesso, uso le emoticon, in aggiunta alle parole, per esprimere i concetti che mi stanno a cuore. Lo faccio solo nel contesto che ritengo appropriato: i messaggi sms, quelli WhatsApp e, qualche volta, le email. In sintesi, tutti quei sistemi di veloce comunicazione telematica che al giorno d'oggi, quando la voce umana è giustamente risparmiata per le necessità più importanti – chiamare i figli in spiaggia, insultare gli automobilisti al semaforo -, riteniamo indispensabili.
Dunque, aggiungo alla bisogna una faccina sorridente: giusto per far capire all'interlocutore che non desidero mi prenda troppo sul serio. Lo faccio senza pensarci, come – credo – fanno quasi tutti.
Ora però da Israele arriva una notizia che cambia tutto. Laggiù, infatti, un giudice ha sentenziato che le emoticon sono parte integrante del linguaggio e pertanto hanno conseguenze legali. Il caso portato alla sua attenzione riguardava la protesta di un proprietario di casa nei confronti di un potenziale inquilino. Quest'ultimo, visitato l'appartamento dato per “affittasi”, aveva espresso il suo entusiastico interesse attraverso alcune emoticon. Tra le altre, una faccina sorridente, una mano con le dita tese a V, una figurina danzante e una bottiglia di champagne. Quando il potenziale inquilino si è invece ritirato, il proprietario ha protestato che quel messaggio – e in particolare le emoticon in esso contenute – lo avevano convinto che l'accordo era cosa fatta. E il giudice gli ha dato ragione. La legge, dunque, incomincia a conferire gravità a oggettini virtuali che, per noi tutti, sono invece simboli – letteralmente - di leggerezza. Giusto così, credo. L'uomo avanza, inventando cose nuove, e la legge lo segue assicurando, si vorrebbe, ordine e giustizia.
Oso però sperare che non necessariamente si appropri di ciò che regola: sarebbe imbarazzante leggere sentenze “In nome del popolo italiano” corredate di bandierine tricolore, icone della pizza, cappelli da carabiniere e Totò che fa ciao con la manina.
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