La fine del Monti

La fine del Monti

La politica, nelle dichiarazioni se non nei fatti, ha sempre una certa fretta. Aperta una fase, incomincia subito a discutere di quella successiva. O meglio, avvia il dibattito sulla chiusura - bisognerebbe dire sulla “dipartita” - di quella appena inaugurata. E' come se un neonato, tagliato il cordone ombelicale, si informasse: «Scusate, qualcuno ha idea di quanto dura questa vita? Perché io avrei altro da fare».

La ragione di tutto ciò è evidente: ogni nuovo assetto politico crea inevitabilmente una legione di scontenti alla quale non rimane altro sport che augurarsi, per divinazione o per sortilegio, una prematura rivoluzione del quadro generale. Questa attività è stata a lungo praticata nel corso nella cosiddetta “era Berlusconi” e ha ritrovato slancio ora che al governo c'è Mario Monti.

Il giochino è stabilire se l'esecutivo arriverà o meno alla fine della legislatura, prevista come sappiamo per il 2013. «Nel 2013? Ma siete matti?» ha risposto di recente un leader politico ai giornalisti che gli chiedevano un pronostico. Altri hanno giudicato le possibilità che Monti arrivi al traguardo «scarse», «infinitesimali», «francamente povere», addirittura «nulle». Il lato farsesco di tutto ciò, impossibile da non cogliere, è che di quanti danno a Monti al massimo dodici mesi, di quelli che gli negano ogni possibilità di “arrivare al 2013”, ebbene di tutti costoro, non uno è riuscito ad approdare con dignità - politica, culturale e in qualche caso perfino morale - neppure al 2011.

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