La folla

Il bilancio è di 100 arresti, 150 persone ferite, 15 automobili incendiate, più di 50 negozi distrutti e 14 agenti di polizia ammaccati: come un qualunque sabato sera in Brianza ma per Vancouver, dove ogni minima perturbazione solleva più di un sopracciglio, si è trattato di un evento memorabile.
I locali campioni di hockey - i Canucks - hanno perso la finale della Stanley Cup, massimo trofeo della disciplina, contro la compagine di Boston. Tra i tifosi canadesi il disappunto è degenerato in rabbia e la rabbia si è mutata in violenza. Risultato, tre ore di "guerriglia".
Passata la bufera, la polizia afferma ora che gli scontri sono stati provocati da «pochi anarchici» il che, suppongo, in Canada equivale a dire «un gruppetto di cattivoni». Più probabilmente, stuzzicata da sporadici eccessi, la folla si è lasciata contagiare, finendo per sprofondare in un gorgo di esaltazione. Una sorta di sbornia, durante la quale ai sensi intorpiditi del tifosi perveniva soltanto la distorta convinzione di poter fare tutto ciò che di solito è vietato. Capita spesso, alla folla, la cui prerogativa è quella di perdere la testa, la sua, e, non di rado, tagliare un po' a caso quelle altrui. Lo si dimentica - a volte senza malizia, altre invece per calcolo - quando di essa si evoca solo l'occasionale battito generoso, lo stupefacente calore con cui liquefa le individualità e l'esaltante premio del suo applauso. In realtà, poche cose sono più spaventose della folla. Tra queste, chi cerca a tutti i costi di governarla.

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