Dopo “Il Padrino”, “Goodfellas”, “Gli intoccabili”, “I Soprano” e “Porta a Porta”, il crimine organizzato torna a far parlare di sé nel mondo della fiction con “The making of the mob” (“La costruzione della mafia”), una serie tv Usa in otto episodi sulla parabola delinquenziale di Salvatore Lucania, alias Charlie “Lucky” Luciano (1897-1962). Grande successo, tanti ascolti e quell'interesse tra il disgustato e l'affascinato che da sempre il pubblico dimostra nei confronti dei gangster.
Ma perché tanta attrazione per degli assassini? È ben vero che le storie criminali incuriosiscono tutte, ma c'è differenza tra l'attenzione morbosa ottenuta da certi serial killer, piuttosto che da altri invertebrati spargitori di acido muriatico, e l'interesse profondo, a un passo dall'ammirazione, dimostrato da tanti spettatori per boss mafiosi veri o di fantasia. A questi tipacci l'immaginario attribuisce spietatezza e intelligenza, crudeltà e disciplina, ferocia e onore: gente che si fa la legge da sé e vi aderisce senza tentennamenti. Ne “I Soprano”, con ammirevole intelligenza visionaria, si faceva un passo oltre, arrivando a dipingere una famiglia mafiosa in termini anche grotteschi, senza esitare ad aggiungere alla storia accenni di farsa: ne riusciva un ritratto realistico ma che non dissipava del tutto l'alone di leggenda attorno a questa forma di criminalità.
Eppure, chiunque vi ha avuto a che fare sul serio potrà testimoniare che non c'è niente di più lontano dal vero: mafia, camorra e 'ndrangheta sono macchine da soldi, in cui il vincolo d'omertà non è basato su alcuna forma di fratellanza, ma soltanto sul terrore. A noi piace immaginare invece che qualcuno riesca ad andare oltre i tabù sociali e, all'affacciarsi di pericoli dai quali lo Stato sembra faticare a proteggerci, risponda con le sue proprie armi e la sua propria, faziosissima, giustizia. L'illusione di costruire la propria società indipendente e di mettercisi a capo: invece, la genuflessione alla forma più volgare di asservimento.
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