Questo è piuttosto difficile, per me, da accettare ma -si sa - nella vita ci vuol coraggio. Il fatto è che, a quanto pare, l’umorismo uccide. O, se volete, la risata accorcia la vita.
I più non hanno nulla di cui preoccuparsi. Occorre precisare infatti che ridere non fa affatto male. Al contrario, una bella sghignazzata è terapeutica: alleggerisce l’anima, rinforza i capelli e regola la digestione. A essere controproducente per la salute non è godere dell’umorismo, ma produrlo.
Una statistica circa l’età media degli attori e, in generale, della gente di spettacolo, ha stabilito che i "comici" tendono a morire prima dei “drammatici”. Addirittura, un comico ha il doppio delle possibilità di morire in giovane età.
Perché questo accada non si sa con precisione, però non è escluso che questa statistica sia in qualche modo collegata con uno studio psicologico sui “tratti psicotici” comuni in tanti professionisti della risata. Lo studio si basa sull’osservazione che le persone creative spesso soffrono di depressione e la loro sofferenza psicologica arriva in qualche caso a portarli addirittura alla schizofrenia. Non c’è dubbio che comici e umoristi siano persone creative: la battuta, così come l’annotazione divertente, nasce da una originale e paradossale lettura della realtà ed è frutto solo e soltanto di uno sforzo “eroico” della mente.
Si arriva così a constatare un paradosso e un’ingiustizia: l’intelligenza comica funziona da formidabile scudo contro le contrarietà e lo stress per tutti tranne che per chi la produce. Chi ci fa ridere, si consuma per farci più forti e più sereni.
Ci sono eccezioni per fortuna: il grande P. G. Wodehouse morì a 93 anni dopo una vita di Jeeves, Blandings Castle, tè, pasticcini e tanto umorismo. Rimane un’eccezione ma che allarga il cuore di chi sa far ridere.
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