Il meccanismo dei mezzi d'informazione è simile a quello di un microscopio e in tutto dissimile da quello di un telescopio. Questo vuol dir che tende a ingigantire ciò che si trova nei pressi della sua lente ma non può in nessun modo catturare quanto sta più lontano. Per questa ragione, un incidente relativamente piccolo accaduto vicino a noi avrà nei media più evidenza di uno molto vasto accaduto a grande distanza.
Tutto ciò sembra ovvio non solo a chi fa l'informazione ma anche a chi la consuma. Ovvio e, per usare una parola molto amata dai calciatori nelle interviste pre e post partita, "normale". Tuttavia, l'effetto varia leggermente quando le notizie che abitualmente sono vicine per noi diventano lontane per altri e ciò che ieri ci sembrava di urgente importanza diventa, durante un viaggio, di marginale importanza nei notiziari altrui.
Non so bene quale, ma c'è una lezione da imparare nell'assistere alla sufficienza con cui i media orientali trattano ciò che noi chiamiamo, con frequenza ossessionante, "emergenza", sia essa la pressione dei migranti sui confini europei o lo sconforto, perfino la depressione, infusa dal terrorismo nei Paesi occidentali. Urgente e rilevante diventa invece il fatto che Kerry abbia mancato di presentare le scuse dell'America per la bomba atomica sul Giappone e allarmanti e terrorizzanti sono i progressi della Corea del Nord in fatto di armi e tecnologia spaziale.
Un errore, in fondo, perché nella civiltà globale i problemi di uno sono i problemi di tutti (lo saranno domani, se non lo sono già oggi), ma se questa svista sembra particolarmente grave a noi occidentali, se la troviamo ingenua e irritante, poco rispettosa delle nostre fondamentali paure, forse dovremmo pensare a quante sviste, nei decenni, abbiamo commesso noi, e a quante volte - infinite? - abbiamo cambiato canale, senza rimorso, davanti a immagini di sofferenza provenienti dall'Est o dal Sud del mondo.
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