La lontana teoria

Mi piace quando qualcuno butta la mente oltre l’ostacolo. Con ciò, intendo dire che apprezzo quando un individuo - che può essere uno scienziato come uno scrittore, un genio dell’informatica come un artista o, meglio ancora, il primo che passa - impegna la sua mente non in questioni, pur apprezzabili, di intelligenza ordinaria, ma in faccende chiaramente al di là della portata sua come di tutti. Lo apprezzo perché, nel tentativo infruttuoso di dare risposte impossibili, fornisce indicazioni molto chiare sul suo modo di pensare e, per estensione, sul modo di pensare di molti, se non della maggioranza di noi.

Ecco perché ho idealmente applaudito allo studio proposto di recente da due artisti-ricercatori - Nickolay Lamm e Alan Kwan - in risposta alla domanda: «Come saranno gli uomini tra centomila anni?». Attenzione: la domanda riguarda l’aspetto fisico dell’homo sapiens, ovvero si interroga su quali trasformazioni organiche impresse dal processo evolutivo sarà lecito aspettarsi nel nostro corpo. Lamm e Kwan non hanno affatto preso in considerazione l’abbigliamento, l’abitazione e lo stile di vita che caratterizzeranno i nostri lontani pronipoti. Eppure, in qualche, modo abbigliamento e abitudini devono avere influito nelle loro ipotesi, visto che immaginano gli uomini del futuro come una coppia piuttosto sciatta di giovani bianchi (la scelta della razza è già discutibile) con due capoccioni grandi così e, soprattutto, i bulbi oculari ingigantiti «dall’applicazione di lenti che svolgono le funzioni che oggi ritroviamo nei Google Glasses».

La teoria dei due ricercatori copre una linea temporale di centomila anni con tappe intermedie ma, come loro stessi tengono a precisare, «non si tratta di rilevazioni scientifiche, ma di pura speculazione». Come dire: abbiamo tirato a indovinare. Ciò permette a noi di ipotizzare che, tra centomila anni, quegli occhioni sgranati saranno soprattutto in reazione alle lontane teorie di Lamm e Kwan.

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