Potremmo pensare alla rubrica di oggi come a una macchina del tempo. Mentre io scrivo fa ancora (relativamente) fresco; quando voi leggerete (state leggendo) la caldazza annunciata dai meteorologi si sarà probabilmente già abbattuta . Questa è dunque una lettera da un me stesso ancora (relativamente) riposato a voialtri già tormentati dal caldo. Di più: è una lettera dal me stesso di ora, rilassato, al me stesso di domani, sudato ed esaurito.
In questa veste privilegiata (e non ancora appiccicosa) vorrei dunque rivolgere a voi (e alla futura versione di me) una preghiera: cerchiamo per una volta di affrontare la calura con dignità. Se troviamo ridicoli - perché sono ridicoli - i servizi dei tg che immancabilmente invitano a «evitare di esporsi nelle ore più calde» e, possibilmente, a trattenersi dal consumare superalcolici avvolti in un cappotto distesi a mezzogiorno su un tetto di lamiera, così cerchiamo di limitare le nostre lagnanze. Che sono sempre le stesse, immutabili quanto immancabili: non c’è un filo d’aria, ieri avrò dormito al massimo un’ora, il problema non è il caldo ma l’umidità, ho dovuto aprire gli sportelli della macchina per mezz’ora prima di partire perché si moriva. Nell’impossibilità di concepire lamentele nuove ed originali - è proprio il caldo, tra parentesi, che ce lo impedisce - evitiamo di rimacinare quelle vecchie. Anche l’attrito mentale, sappiatelo, fa salire la temperatura.
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