La macchina della bugia

Provate a immaginare che mondo sarebbe se non si potesse più mentire. Non una bugia ammessa, neppure la più piccola. Dire alla moglie: «Ti sta meglio il vestito blu» senza neppure guardare l’alternativa; addirittura senza neppure guardare entrambe le alternative. Immaginate che non sia possibile, immaginate che qualcosa, all’insorgere della bugia, la riveli, come fa una cartina al tornasole con l’acido e il basico.
Per alcuni questo scenario è oggetto di impegno quotidiano. Un tempo si credeva di aver raggiunto l’obiettivo con il "polygraph", la macchina della verità: un apparecchio che basandosi su pulsazioni e pressione sanguigna intendeva stabilire se un soggetto mentisse oppure no. Missione incompiuta: oggi la macchina della verità, rivelatasi fallibile, non è ammessa nelle aule di giustizia.
Ci si riprova con il "brain scan": una scansione del cervello in grado di rivelare le aree del medesimo che si attivano durante un interrogatorio. Le bugie “accendono” aree precise, identificabili al 100%. Il problema sembrava risolto, ma si è presto scoperto che basta un semplice accorgimento (il movimento di una mano, perfino di un solo dito) a introdurre elementi di incertezza e, pertanto, a vanificare il contributo del "brain scan".
Se ne deduce - io, almeno, ne deduco - che le bugie appartengono a un’area umana più profonda perfino della neurologia. Appartengono, si direbbe, allo spirito, all’anima. Evidentemente c’è, nella menzogna, qualcosa di infernale. O forse di divino.

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