Poiché di tè ho parlato ieri, di tè parlerei anche oggi, ma soltanto per creare una connessione, perché l’argomento centrale della rubrica non sarà affatto il tè ma l'abbigliamento.
Non è una novità che l’abbigliamento si accompagna alle circostanze. In altre parole, ci si veste a seconda della situazione che si deve affrontare. La prima variabile è ovviamente climatica: un bel cappotto se fa freddo, una maglietta se fa caldo. Ci sono poi variabli, per così dire tecniche: chi fa sport dovrà avere l’abbigliamento adatto e così via. Infine, c’è la variabile sociale: cravatta dove si deve, casual dove si può.
A questo punto vi chiederete: ma che cosa c’entra il tè? C’entra perché lo spunto di questo articolo nasce da un’osservazione maturata durante un tè del pomeriggio in un albergo di Hong Kong. Sollevato lo sguardo dalla tazza nella quale una mano servizievole aveva versato la bevanda ambrata, il vostro umile cronista si è imbattuto nella generosa sagoma di un avventore. Per quanto lo snobismo non mi appartenga, non ho potuto fare a meno di notare che egli portava, a mo’ di camicia, una maglia del Manchester United. Mi sono subito chiesto: quali processi mentali avranno portato a un simile risultato estetico? Come era stato possibile che appena qualche ora prima questo signore, non più giovane, nell'intimità della sua abitazione o della sua stanza di hotel, pensasse tra sé «oggi devo andare al tè in un grande albergo del centro, che cosa posso mettermi?» e come risposta formulasse «una maglia da calcio»? Eppure eccolo lì, perfettamente disinvolto e nello stesso tempo fuori luogo come un grillino alla bouvette.
Questo episodio credo sottolinei la differenza tra gli italiani - per i quali uno standard minimo di decenza nel vestire raramente viene meno - e tutti gli altri nel mondo, privi di qualunque "radar" estetico. Non è che noi vestiamo bene: sono gli altri a non vestirsi affatto. Resteremo a lungo leader della moda: in fondo ci basta soltanto rimanere alla larga dalle maglie del Manchester United.
Non è una novità che l’abbigliamento si accompagna alle circostanze. In altre parole, ci si veste a seconda della situazione che si deve affrontare. La prima variabile è ovviamente climatica: un bel cappotto se fa freddo, una maglietta se fa caldo. Ci sono poi variabli, per così dire tecniche: chi fa sport dovrà avere l’abbigliamento adatto e così via. Infine, c’è la variabile sociale: cravatta dove si deve, casual dove si può.
A questo punto vi chiederete: ma che cosa c’entra il tè? C’entra perché lo spunto di questo articolo nasce da un’osservazione maturata durante un tè del pomeriggio in un albergo di Hong Kong. Sollevato lo sguardo dalla tazza nella quale una mano servizievole aveva versato la bevanda ambrata, il vostro umile cronista si è imbattuto nella generosa sagoma di un avventore. Per quanto lo snobismo non mi appartenga, non ho potuto fare a meno di notare che egli portava, a mo’ di camicia, una maglia del Manchester United. Mi sono subito chiesto: quali processi mentali avranno portato a un simile risultato estetico? Come era stato possibile che appena qualche ora prima questo signore, non più giovane, nell'intimità della sua abitazione o della sua stanza di hotel, pensasse tra sé «oggi devo andare al tè in un grande albergo del centro, che cosa posso mettermi?» e come risposta formulasse «una maglia da calcio»? Eppure eccolo lì, perfettamente disinvolto e nello stesso tempo fuori luogo come un grillino alla bouvette.
Questo episodio credo sottolinei la differenza tra gli italiani - per i quali uno standard minimo di decenza nel vestire raramente viene meno - e tutti gli altri nel mondo, privi di qualunque "radar" estetico. Non è che noi vestiamo bene: sono gli altri a non vestirsi affatto. Resteremo a lungo leader della moda: in fondo ci basta soltanto rimanere alla larga dalle maglie del Manchester United.
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