La memoria norvegese

La memoria norvegese

Strana cosa, la memoria: strana in sé e ancor più strana perché cambia di latitudine in latitudine.
In un recente esperimento sull'affidabilità dei testimoni, sono stati interrogati 857 membri dell'Associazione norvegese di Psicologia (tutti sosia di Erland Josephson con la pipa): è risultato che i loro ricordi potevano dirsi accurati al 63%; stessa percentuale è stata raggiunta tra i giudici norvegesi (tutti sosia di Max von Sydow con gli occhiali calati sul naso), mentre il “pubblico generico” (sosia degli Abba ma con abiti meno chiassosi) si è attestato su un più modesto 56%.
Il problema, nel riportare a noi questa indagine, è che le “cavie” norvegesi si sono sottoposte all'esperimento affidandosi ognuno alla propria memoria individuale. Cosa che, quaggiù, non esiste: da noi la memoria è una faccenda condivisa. Se uno non ricorda, non significa che non ricorda: significa che per lui ricorderà qualcun altro. Ecco dunque fiorire quelle conviviali battute di caccia al ricordo che permettono di identificare tramite sforzo collettivo chi ha sposato la cugina della Agnese, quella del Ronco, non quella del Cucco, o che fine ha fatto Settimo, quello del banco dei pesci, non quello con l'occhio pigro.
Questo è vero ancora oggi, soprattutto grazie agli anziani i quali tendono, in fatto di ricordi, ad appoggiarsi l'un l'altro. Quanto a giovani, finiscono ogni giorno di più per assomigliare ai norvegesi: non così sosia degli Abba, ma certo con abiti altrettanto chiassosi.

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