La mezza stagione

in questi giorni di temperature morbide e foglie gialle e rosse scopriamo l’inesattezza di un luogo comune: quello che aveva ammazzato le mezze stagioni sentenziando con sussiego: «Non ci sono più». Andrebbe preso a calci come tutti i luoghi comuni, perdipiù sbagliati. Viviamo, in questi giorni (ma si vorrebbe dire in queste ore, tanto sappiamo precaria la condizione), come sospesi in una “mezza stagione” da incorniciare (se incorniciare non fosse proposito assurdo nei confronti di momenti così transitori): le temperature diurne sono quasi calde, quelle notturne giustamente fredde. Il cielo sereno è fisso al punto tale da far sospettare che si sia preso una vacanza, lasciando al suo posto, sospeso sulle nostre teste, un fondale posticcio, forse una fotografia scattata in piena estate.

La mezza stagione, con le sue incertezze, l’instabilità, i rebus per il guardaroba e lo spettacolo della natura che, risvegliandosi o approssimandosi al sonno, ci concede lo spettacolo del cambiamento, è per certi versi la stagione migliore. Per sua natura è cangiante, progressiva, urgente e dunque stimolante. Estate e inverno addormentano e intorpidiscono, primavera e autunno rotolano, progrediscono, precipitano anche, e non permettono ai sensi di spegnersi. Il poeta Eliot ne “La terra desolata” accusava aprile di crudeltà: «Genera / Lillà da terra morta, confondendo / Memoria e desiderio, risvegliando / Le radici sopite con la pioggia della primavera».

Mi chiedo che cosa avrebbe potuto scrivere di questo novembre così restio ad adattarsi al ruolo autoritario di capostazione, quello che con un secco trillo del fischietto sancisce la partenza della “bella stagione”. Lo avrebbe forse insolentito per l’illusione di vita che ancora lascia baluginare sulle foglie, infonde nelle macchie di sole e riflette sulle finestre socchiuse. Avrà dalla sua l’eternità letteraria, il vecchio poeta, ma è il canto della mezza stagione che, in questi istanti, ci volgiamo ad ascoltare.

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