La nazione

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L’anno prossimo avremo il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Ho scritto "avremo" perché è il verbo più neutro che mi son trovato sulla punta della lingua. Avrei potuto scrivere "festeggeremo", ma sarebbe stata una sciocchezza e sebbene di sciocchezze, in questa rubrica, ne abbia scritte molte, cerco almeno di non piazzarle a riga uno. In effetti, non "festeggeremo" affatto. La verità è che alcuni festeggeranno e altri no.
Tra coloro che "no", il sindaco di Treviso e i suoi seguaci. Il padanissimo Gobbo si è detto sì disponibile, nel 2011, a far eseguire l’inno di Mameli, ma solo in «cerimonie limitate». Lo ha voluto rimbeccare il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio (Pd), secondo il quale «è molto grave cercare di infondere nel nostro popolo un senso di vergogna nei confronti dei nostri simboli: è una mancanza di rispetto nei confronti della nostra storia e della nostra gente». Di conseguenza nel 2011, secondo Delrio, il tricolore dovrebbe sventolare ovunque e l’inno nazionale venir replicato in ogni possibile occasione, dal varo di una nave all’arrivo in paese dell’arrotino.
È dunque con questi sentimenti contrastanti che ci avviciniamo all’anno 150 dell’Unità italiana: da una parte il freddo disprezzo di chi rifiuta, dall’altra l’orgasmo di chi, per tutta risposta, impone. E se invece, per dire, approfittassimo del 150° anniversario per diventare, in tutta calma, una nazione civile?

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