Da lettori attenti quali siete, avrete senz’altro colto gli indizi disseminati in queste righe e saprete che, di recente, sono stato in viaggio. Il fatto che lo abbia scritto esplicitamente potrebbe avervi dato una dritta decisiva.
Un viaggio non è completo, tuttavia, se non lo si può raccontare a qualcuno e, nel mio caso, il “qualcuno” che più mi stimola a raccontare è certamente la signora Malinpeggio. Dovete sapere che la signora è un’ascoltatrice attenta, intelligente e ricettiva, ma non molto incline allo stupore. Il viaggiatore potrebbe buttarle lì, con nonchalance, una frase tipo «...e dopo aver infilato la testa nella bocca della tigre siamo entrati della gabbia dei boa per consumare un pasto a base di scorpioni...» senza vederla inarcare un sopracciglio.
Ciò non significa che non dia soddisfazione: ogni volta che le offro il resoconto di un mio viaggio, non manca di porgere domande specifiche e di formulare osservazioni penetranti.
Ieri mattina, animato da un vivo senso di anticipazione, ho raggiunto la panchina che ormai da mesi la vede ospite. Sorpresa: la panchina era vuota. Se posso dirlo, emanava quella vuotezza che solo le panchine vuote emanano. Stupito, ho interrogato qualche passante. Sapete dov’è la signora? Molte teste scosse, parecchie spalle alzate, finalmente una risposta coerente: «È partita». Per dove? «Non si sa: ha detto soltanto che partiva».
Colto da un sospetto, ho fatto la posta a casa della signora. Pochi minuti e la porta sul cortile, scricchiolando come ogni porta sul cortile dovrebbe sempre fare, si è aperta e la signora ha fatto capolino, tra le mani le ciotole ben note ai gatti del circondario.
«Signora! Lei non è partita!» ho gridato.
«Acuto come il solito» ha ribattuto lei. «Mi dica: che cosa pensa ci sia di bello nel viaggiare?»
«Soprattutto il fatto di vedere cose nuove».
«Bravo. E, di conseguenza, non vedere per un po’ quelle vecchie».
E a questo punto la porta sul cortile, oltre che scricchiolare, ha anche sbattuto.
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