Ci sono espressioni che Internet ama. D’altra parte, le ha create a suo uso e consumo. Quando c’è un avvenimento in corso, e quindi il flusso delle informazioni viene aggiornato di continuo (accade durante gli attentati), ecco che sui siti compare la scritta “Quello che sappiamo finora”. Più tardi, appariranno anche la “foto simbolo” e il “video choc”.
Quando un fatto – per citare un esempio recente, la sconfitta della Juve nella finale di Champions – viene commentato e stracommentato, la Rete, immancabilmente, “si scatena” e, neanche a dirlo, si riempie di “ironie”, curiosa forma plurale di un sostantivo che ha molto più senso usato al singolare. Altre formule, insensate quanto deprecabili, sono quelle del tale che “asfalta” o “umilia” il talaltro e al tutto, per colmo di scemenza, si vorrebbe offerta la “massima condivisione”, prima – è ovvio - “che lo censurino”.
C’è poi un’altra formula che va prendendo piede ed è quella della “risposta perfetta”. Quando qualcuno, specie una celebrità, risponde per le rime agli attacchi, perlopiù volgari, ricevuti dalla Rete, i siti d’informazione gongolano e rilanciano quella che definiscono “risposta perfetta” (“perfect response” nella versione originale). Tra i casi più recenti, quello della cantante Rihanna, attaccata per le sue forme burrose.
Premesso che l’idea di “mettere a posto” bulli e cafoni con una sola frase è largamente apprezzata, ed è stata cullata da generazioni di ragazzini e ragazzine maltrattati, la realtà ci insegna che si tratta di un’illusione. I bulli non arretrano, purtroppo, davanti all’ironia e tantomeno in presenza dell’umorismo: di fatto, ne sono immuni, per la semplice ragione che non li capiscono. Ma la Rete coccola la “risposta perfetta” e immagina legioni di livorosi e di ingiuriosi battere in ritirata: un pensiero moralmente sano ma largamente ingannevole. Più efficaci contro la prepotenza sono l’educazione e la pazienza. Cose noiose, purtroppo, che non ci stanno in un tweet.
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