Ritrovo la signora Malinpeggio sulla panchina che, ormai, rappresenta il suo quartier generale.
«Caldo, eh?»
«Lo sa che non parlo del tempo» ribatte.
«Di che cosa vuol parlare, allora? Del senso della vita? Del segreto della felicità?».
Pensavo che il mio tono ironico fosse chiaro ma la signora rimane seria: «Facile» dice.
«Come, facile?»
«Certo, facile. Stia bene attento che glielo spiego solo una volta: la vita è una sala d’aspetto».
«Una sala d’aspetto?»
«Precisamente. È piena di gente che non conosciamo, alle pareti sono appese immagini che non guardiamo. E poi, come lei ben sa, ci sono i giornali e le riviste».
«Che cosa c’entrano i giornali e le riviste?»
«C’entrano eccome. Ci ha mai fatto caso? Appena una persona entra nella sala d’aspetto cerca un posto a sedere. E poi? Prende una rivista e incomincia a leggere. Anzi, finge di leggere: in realtà esamina le altre persone. Non è un osservatore distaccato: guarda gli altri con ostilità. E pensa: quanti sono? Quanto tempo mi faranno aspettare? Quella donna con due bambini avrà bisogno di tre volte il tempo? E soprattutto: perché le riviste che stanno leggendo sono più interessanti della mia?»
«La scena è verosimile. Ma come fa a dire che assomiglia alla vita?»
«Non “assomiglia” alla vita. È identica alla vita. Fatta di ostilità e noia. Di risentimento e noia. Di noia e noia».
«Per fortuna, prima o poi, l’attesa finisce e si viene chiamati nell’altra stanza».
«Per fortuna, lei dice?
«No?»
«Quasi sempre, una volta nell’altra stanza, si ricevono brutte notizie».
«Ma allora non c’è speranza».
«Speranza no, un trucco sì».
«Quale?»
«Cercare di divertirsi mentre si è nella sala d’aspetto».
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