La sala d'aspetto

La sala d'aspetto

Questa è una di quelle buone, lo si capisce subito: «MILANO, 6 MAR - Un pregiudicato di 44 anni è stato denunciato, a Milano, per essere evaso dall’inconsueto domicilio rappresentato da una sala d’attesa ferroviaria. L’uomo, senza fissa dimora, frequenta l’ambiente dei clochard che vivono negli scali ferroviari, ed era destinatario di una misura di sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno presso la sua unica dimora, ovvero la sala di attesa della stazione Greco-Pirelli del capoluogo lombardo».

Davvero non si sa dove incominciare, con una notizia del genere. Sono righe che dipingono un quadro dove nulla è al suo posto eppure niente, teoricamente, è sbagliato. L’uomo non ha altra casa che una sala d’aspetto e dunque, dovendogli intimare di non lasciare casa, è necessario ordinargli di non uscire dalla sala d’aspetto. Poco importa che la sala d’aspetto non sia una casa: lì deve stare se non vuole finire in carcere. Ma anche se così dovesse andare a finire in carcere, non è che il carcere sarebbe proprio un carcere. Sarebbe un carcere all’italiana: sovraffollato, cadente, quasi certamente insalubre. A ben vedere, anche la legge che vorrebbe trattenere una persona in una sala d’aspetto non è proprio una legge: al massimo, è un paradosso.

Che bello se, un bel giorno, un distinto viaggiatore, di quelli sicuri di sé e del mondo, dovesse chiedere al nostro clochard: «Quando arriva il suo treno?» «Tra qualche anno», potrebbe rispondere lui: «Il suo, invece, non arriverà mai».

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