Novanta secondi è rimasta esposta la vergogna del "Daily Mail", ma tanto è bastato perché facesse impressione in tutto il mondo. Che cosa è successo? Lunedì sera il quotidiano britannico ha piazzato un redattore davanti alla tv con l’incarico di pubblicare sul sito internet la sentenza del processo di Perugia. Tenuto conto che di Sollecito agli inglesi non gliene può fregare di meno, per il redattore la questione era: Amanda colpevole o Amanda innocente? Per far prima, l’intraprendente cronista si era preparato due articoli uguali e contrari: «Amanda libera» e «Amanda in prigione».
Risultato, al momento della sentenza, sarà l’emozione, sarà l’accumularsi delle pinte di birra, il nostro ha pigiato il bottone sbagliato: in Rete è finito - per rimanervi un lunghissimo minuto e mezzo - l’articolo che annunciava la condanna. Fin qui, errore a parte, poco male. Il titolo in doppia versione, nei giornali, è un trucco vecchio quanto Gutenberg. Il problema è che l’articolo "sbagliato" si dilungava fornendo una serie di particolari verosimili ma, evidentemente, inventati: lo sguardo sconvolto della giovane, la decisione di sottoporla a vigilanza «nel caso tentasse il suicidio», perfino alcune tornite dichiarazioni degli avvocati.
Tutto verosimile, come detto, ma tutto non-vero. Un episodio che rivela la considerazione che, a volte, i media hanno dei lettori: niente più che bersagli verso i quali scagliare una verità prevedibile, confezionata, riconoscibile. Ovvero, una frettolosa sceneggiatura della realtà.
Risultato, al momento della sentenza, sarà l’emozione, sarà l’accumularsi delle pinte di birra, il nostro ha pigiato il bottone sbagliato: in Rete è finito - per rimanervi un lunghissimo minuto e mezzo - l’articolo che annunciava la condanna. Fin qui, errore a parte, poco male. Il titolo in doppia versione, nei giornali, è un trucco vecchio quanto Gutenberg. Il problema è che l’articolo "sbagliato" si dilungava fornendo una serie di particolari verosimili ma, evidentemente, inventati: lo sguardo sconvolto della giovane, la decisione di sottoporla a vigilanza «nel caso tentasse il suicidio», perfino alcune tornite dichiarazioni degli avvocati.
Tutto verosimile, come detto, ma tutto non-vero. Un episodio che rivela la considerazione che, a volte, i media hanno dei lettori: niente più che bersagli verso i quali scagliare una verità prevedibile, confezionata, riconoscibile. Ovvero, una frettolosa sceneggiatura della realtà.
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