Meno male che hanno fotografato il buco nero, così ci siamo fatti quattro risate. Altro risultato, infatti, pare non aver sortito la straordinaria impresa annunciata appena qualche giorno fa: un’immagine “diretta”, seppur ricostruita pixel su pixel passando al pettine una enorme mole di dati raccolti da radiotelescopi disseminati per tutto il pianeta, di una delle più maestose e inquietanti presenze dell’Universo. Si poteva pensare che la rivelazione, tradotta per gli occhi umani, di un fenomeno finora soltanto dedotto attraverso la matematica e la fisica teorica avrebbe suscitato una certa emozione, ma no: l’umanità ha preferito ridere.
Il buco nero della galassia M87 è diventato, come si dice in questi casi, “virale”, ovvero diffuso in tutta la Rete, ma con una valenza in tutto simile a una gaffe di Toninelli, un rigore per la Juventus, il cane che va sullo skateboard e il posteriore di Kim Kardashian (al quale però, bisogna dirlo, gli astronomi attribuiscono lo status di asteroide gigante).
Un tornado di vignette e vignettine, battute e battutacce, alcune divertenti altre abissalmente (anzi, astronomicamente) sciocche placatosi il quale si è levata l’ormai immancabile ondata cinica: “Sì, ma non è una vera foto”, “Sì, ma Zichichi dice che non è importante”, “Sì, ma comunque prima i buchi neri italiani”.
L’osservazione “non è una vera foto” la dice lunga, credo, sul grado di preparazione scientifica dell’internauta medio: poiché il buco nero di M87 si trova a circa 55 milioni di anni-luce da noi, ottenere una “vera foto” - un “selfie” magari - richiederebbe un viaggio molto ma molto lungo - 55 milioni di anni procedendo, appunto, alla velocità della luce, qualcosa di più con la Panda a pieno carico - al termine del quale l’iPhone e il Samsung sarebbero senz’altro scarichi e il segnale wi-fi del salotto piuttosto debole.
L’età veneranda mi concede il lusso di mettere in rapporto l’emozione (o la mancanza di) per l’immagine del buco nero con quella sollevata 50 anni orsono dall’uomo sulla Luna: al netto delle oggettive differenze - l’idea che, primo nella storia dell’umanità, un astronauta in carne e ossa potesse camminare su un corpo celeste diverso dalla Terra aveva, e forse ha ancora, una presa emotiva di altissimo gradiente -, il paragone ci vede oggi aridi, sciocchi, intellettualmente sterili e, in fondo, molto viziati: l’elettricità è quella cosa che esce dalla spina, le onde elettromagnetiche si misurano in tacche sul telefonino e la scienza, nel suo complesso, serve a mandare i messaggi con WhatsApp e guai se non funziona.
L’unico contatto con l’astronomia ce l’ha la nostra testa: infilata fino al collo nel buco nero. Non quello di M87 però.
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