La sera, a tavola

Leggo le notizie sul disastro dei bus e del metro a Roma e il mio cuore sanguina. Non basta: lacrime copiose cadono sullo scarno orario estivo di Trenord, che renderà l’attesa in stazione quasi altrettanto drammatica ed estenuante di quella vissuta dai protagonisti del film “Quel treno per Yuma” (“3:10 to Yuma”, 1957): volti scavati e tirati, sole battente e la voglia matta di estrarre la Colt.

In tanti anni di bus incerti, treni affannati e metropolitane congestionate continuo a chiedermi perché l’Italia, in questo campo, perda il confronto con quasi tutti gli altri Paesi. E non solo quelli cosiddetti sviluppati. Al contrario: spesso sono le Nazioni in “recupero” sociale ed economico a stupire: potendo investire, non esitano a dotarsi di una efficiente rete di trasporto pubblico.

Quale sia la ragione di tanta arretratezza non saprei dire. Ho la sensazione che gli italiani non manifestino mai interesse per il trasporto pubblico se non quando, coinvolti in un ritardo o naufraghi in uno sciopero, si sfogano indugiando nello sport nazionale della lamentazione. Per il resto, sono (siamo) troppo individualisti per apprezzare la poesia e la praticità di un mezzo di trasporto collettivo. A questo proposito, vorrei dire che non ho nulla contro l’individualismo e comprendo alla perfezione il fascino emanato da automobili e affini, non disprezzo chi ne fa una questione di status e condivido perfino la sensazione di libertà che farsi un giro a quattro o due ruote può dare, specie se non c’è una meta prefissata o uno scopo necessario.

Questo però non vuol dire che dobbiamo rinunciare all’idea stessa del trasporto per tutti. Specie nelle città, un sistema di spostamento veloce, efficiente, sicuro e, diciamolo, igienico, ha mille e poi mille benefici indotti. Aiuta l’economia, spinge i progetti, riduce l’inquinamento e fa in modo che, la sera a tavola, si possa finalmente parlare di libri, cinema, amore, speranza e rose profumate, invece di masticare minestrone e veleno per l’ennesimo treno in ritardo o per il solito parcheggio introvabile.

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