La signora 747

La signora 747

A volte incontro degli sconosciuti per i quali provo un istantaneo moto di affetto e simpatia. Mi è accaduto perfino in una vasta sala d'aspetto, piena di persone nervose, munite di un foglietto con un numero e del desiderio impellente di cavarsela al più presto.

Ogni tanto si apriva una porticina e un incaricato annunciava il “numero” ammesso alla visita. La scena si è ripetuta e ripetuta finché l'addetto, un giovane dalla faccia tonda, ha chiamato, con voce stentorea: «718! Chi ha il 718?» Una signora anziana gli si è fatta vicino: «Ha detto 747?» «No, 718». «Mi scusi». La signora è tornata docilmente al suo posto, offrendo ai presenti il breve commento di un sorriso.

Non pareva delusa. Certo, aveva sperato che, chissà per quale miracolo, a quel punto l'addetto avrebbe pronunciato le parole magiche: «Sì: ho detto 718 ma in realtà intendevo 747, quindi tocca a lei. Da questa parte prego, segua il tappeto rosso». Il sogno non si era avverato ma lei dalla speranza non era passata alla delusione. Anzi, avrei giurato si fosse risistemata quietamente in un confortevole guscio d'ottimismo.

Ho voluto immaginarmela più tardi, alla fermata del bus, tutta speranzosa chiedere all'autista: «Scusi, è questo un jet privato che mi porterà gratis alle Maldive?» Se all'inevitabile risposta («No, signora: questo è il 5 barrato e fa capolinea al Macello comunale») avrà saputo opporre ancora quel suo soave «mi scusi», credo le dovremmo riconoscere il merito di aver escogitato la ricetta del supremo vivere.

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