Di solito seguiamo (o non seguiamo) la politica nel suo dipanarsi giorno per giorno. Di solito ci appassioniamo (o non ci appassioniamo) per gli ordini, appunto, del giorno: ius soli non non ius soli, legge elettorale, vitalizi. Ma la politica ha una gittata più lunga e benché sia dato per scontato che non è mai possibile sapere che cosa accadrà nella pancia dei partiti neppure con l’anticipo di un mese, figuriamoci di un anno, non è illegittimo chiedersi che fine faranno le istituzioni democratiche nel giro, diciamo, di vent’anni, ammesso che il “trend” attuale continui indisturbato.
Se l’è posta, la domanda, un gruppo di analisti politici tra i più quotati d’America, riunitosi alla Yale University al preciso scopo di tracciare un profilo della democrazia americana tra vent’anni. Non stupirà apprendere che i professori sono giunti alla conclusione che perfino prima di tale scadenza la democrazia Usa potrebbe essere bell’e cotta. Gli elementi da considerare sono la «rottura della coesione sociale, l’ascesa del tribalismo, l’erosione delle regole democratiche e la perdita di fiducia nel sistema elettorale».
Quel che è peggio è che tutto questo lo si deve a un processo niente affatto catastrofico e dunque in qualche modo ineluttabile: no, la fine della democrazia è un traguardo voluto, costruito attraverso precise decisioni. Per interessi forti, senza dubbio, ma senza tener conto del fatto che con la democrazia crollerà anche lo sforzo di mantenerla in vita: ed è a questo sforzo che, normalmente, diamo il nome di società civile.
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