Dev’essere scritto da qualche parte nel nostro Dna che la violenza ci interessa sempre e comunque. Da qualche altra parte - forse in una pagina diversa dello stesso Dna - c’è scritto anche che la violenza ripugna e dunque viviamo in questa costante contraddizione: la violenza ci “piace” e ci respinge allo stesso tempo. Ne siamo venuti fuori, in un certo senso, stilizzandola e intrappolandola, per quanto possibile, in letteratura specifica, film, tv e, più di recente, videogiochi.
C’è però chi sostiene che anche questa violenza in bottiglia sia pericolosa: è come giocare con il fuoco, si finisce per sottovalutarlo e per bruciarsi. Per chiarire una volta per tutte se questo è vero, alcuni ricercatori della Hannover Medical School hanno sottoposto a esame cerebrale un gruppo di appassionati di videogiochi violenti, in particolare quelli definiti “first person shooter games”, nei quali il giocatore, muovendosi in un ambito specifico (campo di battaglia, quartiere pericoloso) è tenuto, per vincere, a sparare direttamente al “nemico”. Ebbene, per quanto ossessionate dal gioco al punto da non potersene staccare per ore, queste persone non hanno denunciato anomalie cerebrali. Il gioco in sé non li ha resi pazzi, violenti o emotivamente instabili.
Che cosa, allora, genera la violenza "vera”? Io ho idea che sia la solita, cara, vecchia paura, in associazione a delinquere con ansia e frustrazione: Cose che, per assurdo, un videogioco potrebbe perfino aiutare a lenire.
© RIPRODUZIONE RISERVATA