La spugna

La spugna

Ogni sport presta al linguaggio comune un poco di se stesso. «In dirittura», «al palo», «testa a testa», «fotofinish»: tutte espressioni mutuate dall’ippica. Il calcio soccorre il nostro bisogno di metafore istantanee con «salvarsi in corner» e, volendo, con «uno a zero, palla al centro»; la pallacanestro ci consegna il «filo di sirena» e dal ciclismo prendiamo a prestito «la volata». Al pugilato, povero lui, tocca fornirci l’espressione «non abbassare la guardia».
In questi giorni, l’intero palcoscenico mediatico italiano si è trasformato in un ring. Sottosegretari tormentati dall’artrite, idealmente infilati i guantoni, ci hanno più volte invitato a «non abbassare la guardia» davanti al terrorismo; onorevoli affetti da sciatica, ma virtualmente saltellanti come pesi mosca, si sono raccomandati - punzecchiandoci con insidiosi jab e rapide combinazioni destro-sinistro - perché non abbassassimo la guardia nonostante l’eliminazione di Osama Bin Laden.
Non bastasse la politica, anche la scuderia del giornalismo ha voluto presentarsi in palestra: panciuti opinionisti, mezzibusti anchilosati e tuttavia potenti come mediomassimi, ci hanno martellato i fianchi ossessionandoci con la necessità di non abbassare la guardia per il bene della sicurezza nazionale. Dimostrando, loro, i comunicatori dell’ovvio, di averla abbassata da un pezzo la guardia, almeno quella del cervello e, tanto per restare dei dintorni della Nobile Arte, di avere in qualche caso perfino gettato la spugna.

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