La Storia

in piazza

E’ difficile prevedere quale sarà l’esito della protesta studentesca a Hong Kong, ovvero del braccio di ferro dei giovani con il governo locale perché esso non ceda alle pressioni della Repubblica popolare cinese e conduca invece l’ex colonia, negli anni a venire, a una piena democratizzazione del processo elettorale.

Difficile è anche appassionarsene, visto che le nostre vicende nazionali presentano urgenze e dilemmi ben più stringenti, tipo quello che vede il Paese trattenere il fiato in attesa che Della Valle decida se scendere in politica oppure no.

Nel frattempo, nel caso improbabile avessimo un minuto a nostra disposizione, potremmo dare un’occhiata a questi giovanissimi protestatari cinesi per cogliere le differenze con i nostri, non altrettanto giovanissimi, “antagonisti”. Credo che osservando la protesta, senza bisogno di approfondirne le ragioni e tantomeno senza preoccuparsi di condividerle o meno, salti all’occhio come essa sia di natura profondamente e sinceramente non violenta.

I ragazzi hanno occupato delle strade e si sono protetti contro gli spray al peperoncino della polizia, nient’altro. Nessuno di loro ha brandito bastoni, roteato catene, lanciato pietre e molotov, spaccato vetrine, imbrattato muri, insultato poliziotti (e relative madri) e infine vilipeso immagini religiose come sembra inevitabile dalle nostre parti quando occorre ribadire, in piazza, il proprio sostegno ai principi democratici. Tutto questo senza dimenticare che, di fronte, i giovani di Hong Kong hanno il governo di Pechino e non i pur violenti, condannabili (e condannati) questurini che a Genova commisero l’imperdonabile errore di travalicare i loro compiti e la loro ragion d’essere. La sfida che hanno lanciato supera di gran lunga perfino il riferimento biblico a Davide e Golia: comunque andrà a finire, è fatta della materia con cui si fa la Storia. La Storia, ripeto: non la cronaca, sia essa bianca, nera o di qualunque colore la si voglia dipingere.

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