La strada in più

Se si dovesse compilare un elenco delle parole che più influenzano la contemporaneità, c'è da scommettere che “creatività” sarebbe ai primi posti. “Creativo” non è più soltanto un aggettivo; è anche il sostantivo che designa un professionista o, come lo definisce il vocabolario Devoto-Oli, «l'esperto cui viene affidato il compito della ideazione dei testi e della scelta delle foto e dei disegni per una campagna pubblicitaria».

Se della creatività si è fatta una prestigiosa professione e se il termine stesso è oggetto di pubblica idolatria (pensate all'enorme altare di elogi eretto in memoria di un grande “creativo” come Steve Jobs, fondatore della Apple) sarebbe lecito aspettarsi che, nella società, essa venisse promossa e applicata senza timore. Strano a dirsi, non è così. Ricerche e sondaggi dimostrano che la creatività, pubblicamente incensata, è di fatto negletta. Lo è nel mondo del lavoro, dove le idee più creative vengono scartate come “poco pratiche”; lo è a scuola, dove gli insegnanti sono spesso a disagio con gli studenti creativi; lo è nei rapporti umani, dove il pensiero creativo, ovvero originale, ci allontana dagli altri.

La creatività è dunque qualcosa che ammiriamo ma non applichiamo; ne riconosciamo il valore, ma non al punto di concederle la direzione delle nostre vite. Rimarrà così senza risposta la domanda di quanta strada in più avrebbe potuto fare l'uomo se non avesse tanta paura della creatività. Forse giusto quella che lo separa dai suoi sogni.

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