La strage degli adduttori

La strage degli adduttori

Da buon esemplare medio di italiano medio (l'uso ripetuto del termine "medio" è voluto) assumo la mia dose di calcio (nel senso di giuoco del pallone) non dico ogni volta che viene offerta (praticamente tutti i giorni) ma comunque abbastanza spesso. Devo dire che, negli ultimi tempi, questa abitudine si è fatta un poco più faticosa. Non a causa di una perdita di fascino del gioco (che, nonostante una pessima deriva più clownesca che commerciale, resta stupendo), quanto per un emergente attrito di natura, direi, organica.
Sarà perché, in redazione, ci passano sotto il naso, alla rinfusa, centinaia di notizie d’agenzia ogni giorno, ma sempre più spesso si prova una curiosa sensazione ai limiti dell’assurdo. Una raffica di corrispondenze dai Paesi più insanguinati del mondo riportano di corpi straziati, fucilazioni, fosse comuni, brutalità e torture. Di colpo, con la stessa emergenza di una crisi umanitaria, la medesima fonte d’informazioni si preoccupa di annunciare che «durante l’allenamento pomeridiano, Cambiasso ha avvertito un risentimento agli adduttori». Ed ecco che, noi, senza volerlo, sprechiamo per gli adduttori di Cambiasso, o per il menisco di Inzaghi, un poco di quella dolorosa partecipazione che verrebbe invece richiesta dal grande scenario mondiale, dall’immenso carnaio storico nel quale si fa strada il destino dell’umanità. Si affacciano alla lingua, a commento di tutto ciò, infinite metafore, ma quasi tutte calcistiche. Per una volta, non è il caso.

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