La tassa vedremo

In tutti i Paesi del mondo ci sono le tasse. Potremmo aggiungere che in alcuni Paesi le tasse sono alte e in altri sono basse. Addirittura, potremmo azzardarci a dire che ci sono nazioni in cui le tasse sono ingiuste e altre in cui sono eque. Un’altra affermazione che mi sentirei di avanzare è questa: mentre tutti i Paesi hanno tasse alte o basse, giuste o ingiuste, soltanto l’Italia ha la "tassa vedremo".

Mi riferisco, ovviamente, all’Imu, balzello sul quale il governo Letta non sembra ancora aver preso una decisione definitiva. Un sempliciotto come me penserebbe che queste cose si dovrebbero decidere prima di formare l’esecutivo, non dopo o durante ma, d’altra parte, che cosa ne capisco? Solo, mi sembra singolare che si facciano lunghi discorsi programmatici in Parlamento, si scomodi il catering per il giuramento e si nominino quaranta sottosegretari quando non ci si è ancora accordati sulla direzione da prendere in materia fiscale e su altre questioni delicate, tipo se dichiarare guerra o no al Portogallo.

Questa curiosa impostazione ci ha comunque consegnato un primato: quello di unico Paese con la "tassa vedremo". La pagheremo a giugno? Pare di no. A settembre? Chi può dirlo? Alle richieste di chiarimenti, ministri e sottosegretari replicano con sorprendenti contorsionismi verbali tutti condensabili con l’espressione, appunto, "vedremo". Pare che alcuni, assediati dai giornalisti, abbiano borbottato frasi fumose tipo «bisogna considerare il gettito, no l’aliquota, e come facciamo con il coso, il debito?» per poi attirare l’attenzione verso un punto indefinito del cielo: «Guarda, ecco che vola! È un cavallo, no un’aragosta...»

Una tattica dilatoria che, a pensarci, potrebbe partire dall’Imu ed estendersi a tutto il programma. Di più: alle nostre vite. "Vedremo" è oggi il motto che ha sostituito ogni altro credo, da "Dio, Patria e famiglia" a "O la va o la spacca". In questo senso, il governo ha semplicemente adottato il più diffuso sentimento nazionale. Basterà? Vedremo.

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