La terza classe

La terza classe

La notizia che segue potrebbe essere altamente significativa. Potrebbe, per esempio, fornirci un illuminante indizio sullo stato dell’economia europea, non fosse che lo stato dell’economia europea lo conosciamo benissimo e non ci servono indizi, illuminanti o meno, per saperne di più. La notizia potrebbe fornirci inoltre una folgorante metafora sulla turbolenza sociale che caratterizza questa epoca di crisi non fosse, anche qui, che la turbolenza sociale di questa epoca la comprendiamo alla perfezione e di metafore possiamo certamente farne a meno visto che, oltretutto, la sera, le metafore, come le arance, sono pesanti e restano sullo stomaco.

La notizia, allora, nuda e cruda. Le ferrovie britanniche stanno valutando la possibilità di reintrodurre la Terza Classe. Il conservatore Sir John Richard Atlee - per ironia della sorte nipote di quel Clement Atlee, laburista, che nazionalizzò le ferrovie nel 1945 - ha pubblicamente ammesso che il Dipartimento dei Trasporti «sta pensando» di ripristinare la Terza Classe sui convogli britannici.

L’anticipazione ha scatenato una bufera di polemiche: per i sindacati parlare di Terza Classe sui treni significa «spostare le lancette indietro di cinquant’anni». In alcune lettere indirizzate al quotidiano Daily Mail, i lettori - nonché passeggeri - inferociti si chiedono ironicamente perché le ferrovie «non facciano viaggiare le persone direttamente sui tetti dei treni». Ma c’è chi la prende con filosofia: «Non importa come chiamano le classi, tanto, visto il pessimo servizio, si viaggia comunque in Terza Classe».

A voi lascio ogni riflessione sul significato recondito di questa scelta e l’onere di trarne una morale. Mi limito a una considerazione a margine: chi viaggia in Inghilterra può capitare in Terza Classe quando sale su un treno; chi si sposta in Italia, al contrario, in Terza Classe si ritrova non appena scende.

© RIPRODUZIONE RISERVATA