La veglia della ragione

Si è appena concluso a Bologna il congresso della European Sleep Research Society, l’associazione medica europea che si occupa dei disturbi del sonno. Ecco come un resoconto giornalistico sintetizza le conclusioni del convegno, durato una settimana:

«Dormire poco può indurre abitudini alimentari inappropriate e aumento di peso. Un sonno disturbato impedisce invece la normale riduzione della pressione arteriosa nelle ore notturne, aumentando la possibilità di danni cardiovascolari già in età infantile. Gli studi hanno in particolare mostrato quali siano i rischi connessi alla tendenza diffusa, soprattutto nei più giovani, a ridurre le ore dedicate al sonno e quali quelli secondari a un sonno di cattiva qualità».

Passi per l’ammonimento ai giovani perché non sprechino (?) divertendosi ore che potrebbero destinare al sonno, ma quanto alla qualità “cattiva” del riposo di tutti gli altri mi permetto di informare la Society nel suo insieme, e i membri della medesima singolarmente, che non tutti noi ex giovani abbiamo la possibilità di scegliere.

Gli studiosi dividono il sonno in quattro “stadi”, oltre alla fase “Rem” che si inserisce più o meno regolarmente tra uno stadio e l’altro. Io, nella mia rozzezza, ho semplificato la procedura. Il “sonno”, per me, si divide in due fasi distinte: nella prima vorrei disperatamente addormentarmi e mi rigiro nel letto; nella seconda, finalmente addormentato, sono perseguitato da incubi tremendi (che culminano nel dover scrivere una “buonanotte” lunga sedici pagine) e vorrei disperatamente svegliarmi. Risultato: mi rigiro nel letto.

Alla mia età, coricarsi vuol dire entrare in una sorta di macerazione statica delle preoccupazioni, uno stato d’ansia orizzontale che tiene svegli. Tra le preoccupazioni di cui sopra, quella di non riuscire a dormire. Goya si sbagliava di grosso: è la veglia della ragione, non il sonno, a generare mostri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA