La vera urgenza

La vera urgenza

Sfogliare i giornali, al mattino, è un po’ come fare il giro del mondo. Naturale: si passa da Roma, città eterna ed eterno palcoscenico della politica, ai tormenti di Gaza; dalla provincia remota che, spesso, fornisce la cronaca più succulenta e, non di rado, raccapricciante, alle grandi capitali finanziarie e culturali del mondo. Così come salta da luogo a luogo, il lettore dev’essere pronto a saltare da contesto a contesto, da specialità a specialità, perfino da linguaggio a linguaggio, perché il gergo dell’economia non è lo stesso dello sport e quello della cronaca locale non è sovrapponibile con quello degli esteri: l’unica convergenza si trova, e non è una novità, tra resoconti politici e giudiziari.

Negli ultimi mesi - ma forse sono anni - pare tuttavia di poter individuare un sottile filo conduttore, qualcosa che unisce le varie sezioni del giornale, una sostanza comune, potremmo dire, alle vicissitudini umane raccontate dai reporter.

La sensazione era netta giusto ieri, leggendo delle intemperanze di Formigoni (che ha ordinato alla sua addetta stampa di «spaccare la faccia» a una giornalista), di quelle di Briatore (che ha invitato una cronista a «non rompere i maroni»), di lacrimogeni che salgono e scendono, di quel tale estremista di destra arrestato dalla polizia per aver messo online annunci con i quali cercava «gente per azioni anti-negri» e infine per il fatuo, arrogante tatticismo dimostrato dai partiti sulla questione della data elettorale. Nel leggere tutto ciò in rapida successione emergeva, dapprima timidamente ma presto con crescente convinzione, come il collante delle umane vicissitudini sia la stupidità. E che, dimenticato l’"election day", l’urgenza oggigiorno sia piuttosto trovare un accordo tra tutti, Formigoni e neonazisti, Briatore e lacrimogeni, noi e voi, per un salutare Giorno dell’Intelligenza, nel quale ci si impegni a non dire o fare scempiaggini per 24 ore filate. Il mio contributo? Prometto che quel giorno questo spazio rimarrà bianco.

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