La verità secondo noi e secondo David Hume

Alla voce “scetticismo” la Treccani, dopo essersi dilungata sulle aderenze filosofiche del termine, quelle antiche e quelle (scusate la tosse) hegeliane, presto giunge alla definizione pratica, che più ci riguarda da vicino: «Atteggiamento di chi, per principio o per inclinazione naturale, dubita di ogni affermazione, è diffidente e incredulo rispetto a ogni valore e verità, anche se tradizionalmente riconosciuti e accettati da tutti».

Riconosciamolo: chi assume un atteggiamento di questo tipo, e lo mantiene con ragione e coerenza, andrebbe ammirato e, se ciò non fosse in contraddizione con i principi che trasmette, perfino imitato. Quanta saggezza dobbiamo riconoscere nel mettersi di traverso all’opinione corrente, e quanto coraggio. Si tratta, come dice la Treccani, di diffidare di «ogni valore e verità», questo nella consapevolezza che l’uno e l’altra nella grande maggioranza dei casi sono tenuti ancorati alla narrazione storica e sociale perché fanno comodo a qualcuno. Dubitare, dunque, è un atteggiamento sano, ribelle, amico del progresso.

Questo almeno fino al giorno, imprecisato ma non lontanissimo nel tempo, in cui ci siamo sentiti liberi di deragliare dai binari semantici tracciati dalla Treccani e abbiamo fatto dello scetticismo un atteggiamento che proclama non tanto i nostri dubbi sull’interpretazione della realtà quanto una protesta nei confronti della medesima. Lo scetticismo antico - citiamo sempre dalla Treccani - «critica l’ideale di una conoscenza assoluta delle cose e argomenta la relatività del sapere umano»; quello moderno - o per meglio dire quello “di tendenza” oggi - è invece un voltare le spalle alla narrazione principale non tanto per mettere in dubbio che essa possa completamente aderire alla realtà, e quindi per definirla inesatta o imprecisa, quanto per bollarla come falsa perché intenzionalmente contraffatta, per condannarla dunque come menzogna e inganno.

Da questo aggiornato atteggiamento di scetticismo si ricava un senso di elevazione morale, addirittura di superiorità se, come capita quasi inevitabilmente,viene messa in rapporto la propria autoproclamata indipendenza di giudizio con la presunta credulità altrui. Se questa posizione portasse davvero a smascherare imbrogli e cospirazioni sarebbe da salutare con gratitudine. Invece, spesso si arrotola su se stessa, coglie indizi che vorrebbe smerciare per prove, scambia l’irrisione per originalità e, lontano dagli approdi più consueti, che ha ripudiato in estremo compiacimento, cerca con disperazione - perché senza gettare l’ancora più di tanto non sa (e non può) stare - un riparo qualsiasi e a qualunque costo, finendo per alloggiare il pensiero in quartieri ben più improbabili di quelli di partenza. È il paradosso: lo scettico crede ora in una qualsiasi stramberia, come il più indifeso dei creduloni.

Il dubbio coltivato con questi presupposti porta da una narrazione a un’altra, spesso più improbabile di quella di partenza, utile solo a essere scagliata con rabbia contro il “nemico”, e non a quella sospensione del giudizio che dovrebbe essere l’approdo del vero scetticismo.

E dei veri scettici, alcuni dei quali ci hanno lasciato insegnamenti preziosi. Come questo, di David Hume: «La verità nasce dal disaccordo tra amici».

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