Facciamo conto che siate a casa, in poltrona o sul divano, o in qualunque altro accomodamento vi sia congeniale. Sulle finestre batte la pioggia di tardo inverno. Batte, ma non può entrare, e tanto basta a darvi una sensazione di conforto. Ai vostri piedi s’è acciambellato il gatto: fa le fusa e voi, alzando lo sguardo dal libro, potete vedere il suo fianco che dolcemente si solleva al ritmo del respiro.
Abbiamo parlato di libro perché, nella situazione domestica che vi abbiamo costruito intorno, siete obbligati a leggere. La giornata piovosa e l’assoluta quiete imporrebbero addirittura una lettura impegnativa, perfino un poco noiosa: “Declino e caduta dell’Impero Romano” del Gibbon, magari, o “L’uomo senza qualità” di Musil.
Leggete, dunque, con pazienza e serenità, convinti che quel pizzico di tedio che corre lungo le vostre membra sia, in tempi di frenesia e impegni che si sovrappongono, un lusso da assaporare.
Fate attenzione, ora, e mentre leggete cercate di rispondere a una domanda: sentite una voce? Non ci riferiamo al borbottio della tv che scioccamente avete lasciato accesa, né alla radio del vicino che trasmette un notiziario. La voce che sentite - o non sentite - è la vostra. Meglio ancora, è la voce del lettore che c’è in voi: essa “recita” le parole che vi scorrono davanti agli occhi.
La presenza e la natura di questo “lettore” è al centro di uno studio psicologico pubblicato di recente dalla rivista “Psychosis”. Nonostante l’ampiezza della ricerca, non è stata raggiunta alcuna conclusione certa. Alcuni ammettono questa “voce”, altri la negano, altri ancora la riconoscono solo in certe circostanze. Personalmente, non ho difficoltà a dire che la “voce” abita in me ,eccome: le voglio bene, perfino, perché se pur fedelissima al testo, c’è in lei qualcosa capace di consolare, di immergersi nelle tragedie senza perdere speranza e di ridere a ogni occasione, anche la più trascurabile. Le voglio bene e la rispetto: quando scarto un libro, lo faccio più per lei che per me.
© RIPRODUZIONE RISERVATA