La voce del reporter

Ha fatto (più volte) il giro del mondo il video un cui si vede il presidente degli Stati Uniti spinger via il primo ministro del Montenegro, al vertice Nato, come fosse un'indesiderata bottiglia di amaro. A Trump è stato del bullo di periferia (da non confondere con il bullo del centro storico, molto più raffinato), del prepotente e del cafone: tutte espressioni che lui comunque ritiene altamente adulatorie.

Trump non è tuttavia l'unico politico americano ad aver recentemente rifilato uno spintone a un europeo. Nei giorni scorsi, il repubblicano Greg Gianforte, candidato alle elezioni del Montana con il sostegno di Trump, aveva maltrattato piuttosto rudemente un reporter del Guardian, Ben Jacobs, arrivando a spaccargli gli occhiali, gesto peraltro tenuto in grande considerazione nel volume dei Grandi Classici del Bullismo. Jacobs si era macchiato di un crimine piuttosto grave, almeno agli occhi di un politico, quello di fare una domanda difficile (nel caso, sulla copertura sanitaria in America, o forse sulla mancanza della medesima) e tuttavia la reazione di Gianforte è stata descritta con accenti di denuncia da giornali e tv.

Questo non ha impedito al candidato repubblicano di vincere le elezioni con buon margine sul concorrente democratico il quale, in campagna elettorale, aveva trascurato perfino di prendere a calci un lampione o di schiaffeggiare un pomodoro, figuriamoci un giornalista. Bisogna riferire per completezza che Gianforte, poco prima del voto, aveva concesso pubbliche scuse: "Quando si sbaglia bisogna riconoscerlo" ha detto l'impetuoso Greg davanti a una folta platea di sostenitori, "e io ho sbagliato. Tante scuse, signor Jacobs".

I testimoni raccontano come dalla folla si sia levato a quel punto un grido altissimo: "Sei perdonato, Greg!" Nella confusione non è stato possibile capire se tra le tante voci ci fosse anche quella di Jacobs ma tanto, ormai, le voci dei reporter chi le ascolta più?

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