La zebra

Fosse capitata in un cartone animato, magari di quelli firmati Disney, avrebbe avuto garantito il lieto fine. Certo, prima se la sarebbe vista brutta: per esigenze di copione, non per altro. Il prezzo del biglietto prevede, prima dell’epilogo consolatorio, un’ora e mezza buona di pericoli, fughe, incontri emozionanti, brevi pause dense di significato e un climax nel quale tutto sembra perduto e invece, a sorpresa, tutto è guadagnato.

Non era un cartone animato, e neppure un film per ragazzi. Era invece la campagna del Mantovano che, per quanto campagna possa essere, è sempre Nord Italia nel XXI secolo: un posto dove, di finali in rosa, da un pezzo non se ne vedono.

Lei, una zebra fuggita dall’"oasi" di Quarantoli, in provincia di Modena, si credeva forse che le cose andassero diversamente, che i gesti di coraggio, di libertà, di «fame e follia»- come diceva un tale appena scomparso il cui anticonformismo è stato celebrato nel conformismo più spaventoso - venissero riconosciuti e premiati, suscitassero emozione e rispetto, mescolassero pensieri e sentimenti.

Macché: la zebra si è trovata alle calcagna alcune guardie venatorie provinciali e un manipolo di veterinari. Costoro le hanno sparato delle siringhe narcotizzanti ma lei, entrata nel fiume Secchia e rimasta intrappolata tra gli arbusti, ha finito per annegare in un metro d’acqua opaca, chiedendosi forse che razza di mondo è questo, dove una creatura scappa di prigione per ritrovarsi in un film dell’orrore.

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